Papà, co-fondatore e direttore di Frizzifrizzi.
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Dispensa nº1


febbraio 2014 



Fondata da Martina Liverani, Dispensa è una rivista di “generi alimentari & generi umani”, dedicata al cibo e all'universo che gli gira intorno.

Dopo il numero zero, questa è la prima uscita ufficiale.
Il mio pezzo parla di carne in scatola, da Napoleone alla Spam.



direttore responsabile • Martina Liverani
art direction e impaginazione • Margherita Cristallo
foto di copertina • Lee Anouchinsky






E per i più esigenti, aragosta con tartufo, uova fritte e Spam


Il fatto che la più noiosa tra le scocciature nella nostra vita digitale, anzi la scocciatura per antonomasia, la spam, si chiami come una marca di carne in scatola, la dice lunga su come il pensiero comune consideri non solo la qualità del prodotto, ma l'idea stessa di mangiare “la ciccia” dentro a un barattolo di latta. In realtà, contrariamente a quanto si pensi, la qualità non c'entra nulla.
L'origine del termine spam per indicare le mail-spazzatura in realtà va cercata in un vecchio sketch dei leggendari Monty Python. Era il 1970 e la BBC mandava in onda la seconda stagione del Monty Python's Flying Circus, rivoluzionaria serie a episodi (che poi diventò anche il primo film del gruppo: E ora qualcosa di completamente diverso, uscito nel '71) che cambiò per sempre il concetto di commedia, prima nel Regno Unito poi nel resto del mondo.
Alla fine della dodicesima puntata, trasmessa nel dicembre di quell'anno, c'è una scena ambientata in un piccolo Caffè di Bromley, un borgo nel sud-est di Londra, dove in mezzo alla riunione di un gruppo di vichinghi calano dall'alto due uomini che si siedono a un tavolo e chiedono cosa ci sia da mangiare, dando il la a un'esilarante lista di piatti a base di Spam, declamati, anzi urlati da una stridula cameriera: uova e Spam; uova, pancetta, salsicce e Spam; Spam, pancetta, salsicce e Spam; Spam, Spam, Spam, Spam; addirittura Spam, Spam, Spam, Spam, Spam, Spam, fagioli in scatola, Spam e Spam. Per i più esigenti aragosta gratinata nel carapace con gamberi e salsa Mornay guarnito con pâté di tartufo, brandy, uova fritte e Spam...
L'apoteosi della Spam. Un tormentone (volutamente) fastidioso che agli appassionati di albi illustrati ricorderà uno dei piccoli capolavori degli anni '60 del Dr.Seuss, Prosciutto e uova verdi. Tormentone che è poi arrivato fino agli anni '80, quando i primissimi nerd che utilizzavano i BBS, una sorta di antenato della rete web odierna, riempivano le lentissime schermate con citazioni dei Monty Python o con la parola spam ripetuta decine di volte, irritante per chi impiegava persino minuti a caricare un semplice testo — all'epoca c'erano solo gracchianti modem e linee da appena 1200 bit al secondo (oggi, per intenderci, si parla di megabit, dunque di dati trasmessi oltre mille volte più rapidamente).

Che un gruppo di comici abbia deciso di basare un'intera scena sulla carne in scatola — e su una marca americana per giunta — non era semplicemente dovuto al fatto che la parola spam, come tormentone, suonava bene.
Negli anni '70 la Spam era uno dei cibi più venduti in assoluto tra gli inglesi. Dopo la Seconda Guerra Mondiale il sistema agricolo dell'isola era ridotto a pezzi e il mercato alimentare britannico venne invaso dalle pratiche ed economiche scatolette provenienti da oltreoceano, che si imposero tra le classi meno abbienti per interi decenni, diventando di fatto il cibo più comune sulle tavole di gran parte dei sudditi di Sua Maestà. E tra gli appassionati più sinceri e fedeli c'erano soprattutto i bambini.
La storia d'amore tra inglesi e cibo in scatola, però, incominciò un secolo prima, a inizio Ottocento.
A metterci lo zampino fu addirittura Napoleone, che fece bandire dal suo Ministro dell'Interno un concorso di idee per la conservazione del cibo. Una delle preoccupazioni principali dell'Imperatore era infatti il sostentamento delle truppe durante le lunghe campagne militari.
A vincere il premio in palio — 12.000 Franchi — fu uno chef del nord-est della Francia che lavorava a Parigi e aveva velleità da inventore.
Si chiamava Nicolas Appert e inventò un sistema per conservare frutta, verdura, carne e pesce in bottiglie di vetro a chiusura ermetica.
I primi a testare il suo metodo furono appunto i militari della marina imperiale e Appert, dopo aver brevettato il procedimento, aprì il primo stabilimento di conserve di tutto il mondo.
A passare dal vetro alla latta ci pensò, negli stessi anni, un altro francese, Phillipe de Girard. Il suo metodo venne però brevettato nel 1811 da un mercante inglese (ma pure lui con la erre moscia: era di origine francese), un certo Peter Durand, che subito rivendette il brevetto a un ingegnere chiamato Bryan Donkin. All'epoca Donkin lavorava nella tipografia di suo cognato e decise di coinvolgere anche lui, insieme a un altro socio, John Gamble, nel suo nuovo business.
La Donkin, Hall & Gamble, di fatto la prima industria di cibo in scatola, aprì i battenti nel 1813. Appena qualche mese dopo la loro carne in scatola era già sulla tavola del Duca di Wellington, generale delle truppe inglesi divenuto celebre per aver inflitto a Napoleone, qualche anno più tardi, la sua più sonora sconfitta durante la celeberrima Battaglia di Waterloo.
Da lì in poi i prodotti dell'azienda inglese arrivarono in mezzo mondo, nelle stive delle navi, negli zaini degli esploratori e dei cartografi, nell'equipaggiamento dei soldati.

L'ingegner Donkin si ritirò dal mondo delle conserve nel 1821 con un bel gruzzolo in tasca, lasciando il campo libero ai suoi ex-soci e alle aziende rivali che, nonostante il brevetto, avevano aperto non soltanto nel Regno Unito ma anche nel Nuovo Mondo.
Gli Stati Uniti, un mercato enorme e pieno di potenzialità (la Guerra di Secessione e le grandi migrazioni verso il West in cerca di fortuna ebbero tra i suoi protagonisti silenziosi — a parte lo skoosh dell'apertura — le scatolette di carne e di verdure) diventarono il luogo perfetto per passare alla produzione di massa e le imprese alimentari americane si buttarono a capofitto nel nuovo business.
Tra di esse c'era la Hormel Foods Corporation, fondata a fine '800 in Minnesota da George Hormel. La Hormel Foods commercializzava carne fresca ma fu Jay, il figlio di George, a decidere di investire nel cibo in scatola. Lo fece per due motivi, uno legato puramente a una questione economica — utilizzare gli scarti della lavorazione del maiale con un metodo di produzione a basso costo e, visti i lunghi tempi di conservazione, ad alta resa economica — e un altro riguardante il cosiddetto branding: se tutta la carne fresca sembra uguale, pensò Jay, perché non far risaltare il marchio mettendola dentro a una confezione? Nel 1937 il giovane Hormel fondò la Spam, che divenne il principale fornitore di carne in scatola per le truppe americane durante la Seconda Guerra Mondiale. I soldati furono pure i primi a lanciare il tormentone-Spam, inventandosi canzoni nelle quali esprimevano tutto il loro odio per quella robaccia che erano costretti a mangiare ogni giorno, in tutte le salse.
 
Nel Museo della Spam (sì, nella sede storica dell'azienda ad Austin, Minnesota, c'è pure un museo) un documento dell'epoca spiega come i soldati consumavano la loro carne in scatola: Spam fritta, Spam bollita, Spam con salsa al formaggio, uova e Spam, Spam a sorpresa, a dimostrazione che lo sketch dei Monty Python non era poi così lontano dalla realtà...
Quando nel '45 la guerra finì, Jay Hormel aveva un problema: c'erano in giro per il Paese diversi milioni di veterani che odiavano la sua carne. Hormel decise dunque di affidarsi al marketing e ingaggiò un gruppo di ragazze — le Hormel Girls — che mandò in giro per gli Stati Uniti a esibirsi sui palcoscenici e nelle radio cantando, suonando e ballando per fare pubblicità alla Spam. Fu del tutto inutile. E non perché le ragazze non piacessero ma perché, a parte qualche eccezione, i veterani continuavano a comprare la carne in scatola. Non per piacere, tutt'altro. Ma per ricordare i terribili anni di guerra.
La Spam era diventata una sorta di orgoglio nazionale in forma di cibo spazzatura (cose che capitano, ma solo in America).

Nel frattempo il cibo in scatola era entrato nella vita quotidiana delle famiglie americane ed europee: quando il bacino d'utenza iniziò a comprendere non soltanto militari e avventurieri ma anche un esercito ben più numeroso, quello delle comuni madri di famiglia, il giro di affari assunse dimensioni globali e il fenomeno, oltre che commerciale (la miliardesima confezione di Spam venne prodotta nel '59), diventò culturale.
Per le classi più disagiate la carne in scatola significava riuscire a mangiare spendendo poco mentre per le famiglie della classe media era sinonimo della crescente emancipazione femminile: la donna, fino a quel momento schiava dei fornelli e di lunghe preparazioni, poteva preparare il pranzo o la cena per la sua famiglia semplicemente aprendo qualche scatoletta.
Anche i sovietici vennero conquistati dal fascino esotico della carne in lattina: negli anni '30 Anastas Ivanovich Mikoyan — Commissario del Popolo per il commercio interno ed estero e futuro altissimo dirigente del partito — passò alcuni mesi negli Stati Uniti e da appassionato cuoco studiò la cucina americana importando, una volta tornato in Russia, prodotti come l'hamburger e il cibo in scatola. Mikoyan scrisse anche un libro, venduto in milioni di copie e diventato quasi leggendario, intitolato Il libro del cibo gustoso e salutare. All'epoca in URSS lo chiamavano semplicemente Il libro ed era una sorta di manuale di cucina, d'igiene e di galateo. Dentro, oltre a orribili foto illustrate con ingredienti introvabili per la famiglia media dell'Unione Sovietica, c'erano pure un gran numero di scatolette.

L'allargarsi del bacino di potenziali clienti ovviamente si portò dietro pure qualche ombra: oltre a chi trovava disgustosa la consistenza e orribile il sapore del cibo conservato nei barattoli, la percentuale di chi diffidava del cibo in lattina era ancora molto alta e la possibilità di contrarre malattie anche mortali come il botulismo di certo non aiutava. Nell'unico Paese, il nostro, in cui — non ricordo chi l'ha detto — mentre si mangia si parla di cibo, la carne in scatola fece molta più fatica a decollare rispetto a quanto successe nei Paesi anglosassoni.
La storia della carne in scatola italiana cominciò nel 1875 a Torino, nello scantinato di Francesco Cirio (sì, quello della polpa di pomodoro). Utilizzando due caldaie e mettendo in pratica l'idea di Appert, Cirio sperimentò la conservazione della verdura. Partì dai piselli e arrivò ai pomodori che poi lo resero famoso.
Cirio fu il primo in Italia a inscatolare la carne ma il primo a diffonderla in tutto il Paese fu un piccolo imprenditore milanese, Pietro Sada.
Sada aveva un negozio di alimentari in città e il suo prodotto di punta era la carne lessata. Per puro e semplice fiuto commerciale e per allargare il giro d'affari, Sada sviluppò un processo di conservazione di carne in gelatina chiusa in scatolette di latta. Era il 1881. Come accadde per le imprese analoghe negli altri Paesi, la Società Fratelli Sada svoltò grazie alle commesse con l'esercito anche se il successo di pubblico — causa la diffidenza verso i prodotti conservati — arrivò più tardi, quando con un'astuta mossa pubblicitaria l'imprenditore offrì i suoi prodotti durante un pranzo ufficiale in onore dei fratelli svizzeri Gondrand, appena atterrati su suolo italiano dopo aver volato sopra alle Alpi su di una mongolfiera.

Nel 1915 Sada aprì uno stabilimento a Crescenzago, il borgo nella zona nord-est di Milano dove abitava assieme alla sua famiglia. In società con Pietro c'erano i suoi figli, Giuseppe, Alberto, Alfonso e Carlo.
A partire dagli anni '20 furono loro a prendere il controllo dell'azienda ma ben presto si divisero: Giuseppe si diede alla produzione di scatolame mentre Alfonso si spostò a Monza dove fondò la Società Alfonso Sada che in seguito divenne un marchio celebre ancora oggi, Simmenthal.
Gli altri due, ormai in concorrenza col fratello, cambiarono nome all'azienda di famiglia, che diventò Sadital.
Mentre negli anni '30 e '40 la Simmenthal cresceva fino a diventare una delle maggiori aziende alimentari italiane (ovviamente sfamando anche i soldati italiani in guerra contro gli Alleati), la Sadital venne quasi distrutta durante i bombardamenti e negli anni '50 chiuse definitivamente i battenti. Nel corso della sua lunga storia la Simmenthal si è trasformata da simbolo del progresso e della modernità a rancio per i militari, da bandiera per la donna emancipata a cibo low-cost, per poi entrare definitivamente e prepotentemente in tutte le case negli anni '80 — insieme alla pasta Barilla, alle merendine del Mulino Bianco, al panettone Bauli, ai Giochi Preziosi e a tanti altri marchi e prodotti che hanno intontito coi loro jingle qualche generazione di telespettatori delle tv commerciali — come uno degli ingredienti della Nuova Famiglia Italiana, caposaldo del berlusconismo che poi sarebbe arrivato inesorabile.
Mi ricordo, da ragazzino, merende con lo Spuntì e cene che sembravano piatti alieni, mentre alla tv il piccolo Niccolò Della Bona, il ragazzino biondo delle storiche pubblicità Simmenthal di quegli anni, come una scimmietta ammaestrata continuava a far ridere di tenerezza le mamme e le nonne di tutto lo stivale col suo insistente storpiare il nome del marchio in Tinsemal. Secco come un chiodo, ero la isperazione di mia madre, che provava invano a farmi assaggiare cose buone mentre gli unici sapori che non mi davano fastidio erano quelli artificiali e identici gli uni agli altri delle scatolette.

Oggi, con le legioni di gastrofissati intenti a fotografare piatti su Instagram e a recensire bar, ristoranti e kebabbari sui loro blog, in scatola c'è ogni ben di dio, dal più gustoso dei foie gras alle preziosissime uova di storione, ma la carne in scatola è tornata a essere semplicemente cibo spazzatura, ancora di salvezza per studenti fuorisede e inconfessabile scheletro nell'armadio per le serate svogliate di chi ostenta palati raffinati.
Anche se qualcuno che prova a sdoganarla c'è ancora, a ogni livello: basso, come i foodblog che coprono l'equivalente culinario di quelli che nella moda sono i blog di aspiranti stylist che provano ad abbinare gli ultimi acquisti fatti da Zara e H&M; alto, come le gourmet (ma di pesce) a lunga conservazione di Moreno Cedroni; furbo, come lo chef padovano Marco Squizzato, che ha scritto un intero libro di ricette da preparare coi soli cibi in scatola.
E torniamo daccapo: uova e Spam; uova, pancetta, salsicce e Spam; Spam, pancetta, salsicce e Spam; Spam, Spam, Spam, Spam...





© 2022 Simone Sbarbati Il ritratto illustrato è di Marco Goran Romano