Papà, co-fondatore e direttore di Frizzifrizzi.
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Dispensa nº5


marzo 2016



Fondata da Martina Liverani, Dispensa è una rivista di “generi alimentari & generi umani”, dedicata al cibo e all'universo che gli gira intorno.

Questo numero è dedicato a “Padri, Maestri e Profeti” e io ho scritto un pezzo su Carlo Zucchini, maestro in pensione che ha frequentato per quarant'anni la famiglia di Giorgio Morandi ed è il Garante dell'eredità Morandi.



direttore responsabile • Martina Liverani
art direction e impaginazione • Margherita Cristallo
foto di copertina • Marco Varoli





A pranzo con Giorgio Morandi


«Lui era una persona normale, sempre sull’orlo dello straordinario», ama ripetere Carlo ogni qual volta gli si presenta l’occasione di raccontare davanti a un pubblico, grande o piccolo che sia, i suoi anni passati accanto a una delle figure più importanti del Novecento.

Quel lui — tanto studiato nell’opera che ha lasciato al mondo quanto, pure, mistificato e distorto dalle leggende e dalle fantasie nate attorno alla sua vita, alle sue abitudini, alle condizioni economiche — è Giorgio Morandi, uno degli artisti più influenti del secolo scorso, capace di lasciare la sua impronta ben oltre l’ambito delle arti visive, ispirando ancora oggi artisti e progettisti di ogni settore, ma spesso ridotto e appiattito, nell’immaginario collettivo, a quello delle nature morte, quello che non usciva mai di casa, quello che viveva con le tre sorelle zitelle, quello che pagava l’affitto regalando quadri al padrone di casa, il prete nella sua torre d’avorio.

«Morandi ha riempito una sorta di agiografia locale: il pasticcere diceva che gli dava le paste in cambio di un disegno, quello della carne pure...
L’hanno mitizzato come succede spesso. Ma poi non le hanno mica, questi, le sue opere! Morandi è stato indagato da centinaia di persone, alcuni che l’hanno conosciuto, altri che si sono inventati le loro testimonianze, altri ancora che hanno voluto aggiungere la propria personalità alla sua», spiega Carlo.
Lui, Carlo Zucchini, è il garante dell’eredità Morandi, uno degli artefici, assieme al Museo Morandi e al Mambo di Bologna, dell’intensa attività di ricostruzione della figura del Maestro, provando ad avvicinarsi il più possibile alla verità — concetto più che mai sfuggente, soprattutto avendo a che fare con un uomo dalla vita interiore quanto mai ricca e complessa — in special modo attraverso le testimonianze dirette di chi l’ha conosciuto.
«Tanto dentro all’originale non ci andrà mai nessuno, è evidente. Lì c’è la sua opera a parlare», aggiunge Carlo, che ha frequentato la casa del pittore dal 1952 fino al 1964, l’anno della sua morte, continuando poi a frequentare la famiglia Morandi fino alla scomparsa dell’ultima delle sorelle dell’artista, Maria Teresa, che a Zucchini lasciò parte dei documenti e degli oggetti che oggi sono raccolti nel Museo Casa Morandi, in via Fondazza 36, a Bologna, lì dove Giorgio è cresciuto e ha lavorato praticamente per tutta la vita.

Classe 1932, un fisico imponente capace di mettere in soggezione chiunque e un’abilità da raccontastorie coltivata durante gli anni passati a insegnare ai bambini delle elementari, poi affinata nelle vesti di principale testimone vivente della vita di Morandi, Carlo Zucchini è una fonte inesauribile di racconti, che come un fiume escono dai suoi ricordi così come i quaderni d’appunti e le vecchie foto traboccano dalla vecchia borsa di pelle che porta sempre con sé. L’incontro col grande Maestro, come racconta Carlo, avvenne per caso ma a legare il loro rapporto fu il cinema, grande passione per entrambi.
«Era il ’52 e io non sapevo neanche chi fosse Morandi», spiega Zucchini, che all’epoca frequentava il Festival del Cinema di Venezia, in qualità di cineforista. Lì incontrò il poeta Diego Valeri, che gli disse: «tu che abiti a Bologna, porta questa lettera a Giorgio Morandi».
Carlo ricorda benissimo quel primo incontro: «Quando suonai alla porta venne ad aprirmi una delle sorelle, che mi salutò gentilmente. Dietro di lei si alzava fino al soffitto il fratello, che mi invitò ad entrare nell’anticamera del salotto, separato dall’ingresso da una grande vetrata con il telaio di legno laccato bianco. Non so cos’altro dire di quel primo incontro. Spinto da un interesse immediato, chiesi di poter tornare. Morandi mi disse di telefonare verso Natale. Io non telefonai, scrissi a mia volta una lettera. Fu la signorina Dina [una delle tre sorelle, le altre erano Anna, detta Annetta, e la già citata Maria Teresa, n.d.r.] che mi telefonò dicendomi che potevo andare da loro l’antivigilia di Natale».

Negli ultimi mesi ho avuto modo di incontrarlo e ascoltarlo spesso, Carlo, perché tra i percorsi d’indagine sulla figura di Morandi ce n’è anche uno legato all’aspetto gastronomico, inaugurato due anni fa dall’associazione bolognese wonderingstars — in collaborazione con il Mambo e il Museo Morandi — con una serie di eventi riuniti sotto al titolo “aroundmorandi”, tra cui una cena che ha visto come protagonisti pezzi di design ispirati alle opere dell’artista, i ricordi di Carlo Zucchini, una performance di Massimo Bottura e la reinterpretazione, ad opera di Marta Pulini, di alcuni dei piatti cucinati a casa Morandi.

Quel progetto ora sta per diventare un libro, sul quale chi scrive ha avuto il privilegio di poter lavorare insieme alla graphic designer Germana Luisi e alla casa editrice Corraini, che darà alle stampe il volume, costruito come un mosaico di testimonianze attorno alla casa, ai riti domestici e soprattutto al raffinato ricettario che, negli anni, prima la madre e poi le sorelle hanno perfezionato, raccogliendovi le loro ricette originali assieme a ritagli di riviste e suggerimenti di amici e conoscenti.
Se la vita della maggior parte delle famiglie ruota attorno alla tavola da pranzo, questo è ancora più vero quando pensiamo alle famiglie bolognesi e la “ordinaria/straordinaria” famiglia Morandi era una di queste, appartenenti a un ceto — quello dei grandi artigiani che non appartenevano né al popolo né alla nobiltà, e tanto meno al clero o alla borghesia — che secondo Zucchini è stato finora poco indagato. E nella casa di via Fondazza la tavola e la cucina rispecchiavano la raffinatezza e, assieme, la semplicità che si respirava tra quelle quattro mura.
«Una semplicità signorile,» spiega Carlo, «nel senso che non c’erano oggetti di casa contadina, né di casa nobile. C’erano oggetti di grande artigianato».

Ma cosa si mangiava a casa Morandi? Zuppe, “bombe di riso”, tagliatelle ai funghi (che il pittore raccoglieva personalmente quando se ne andava a disegnare tra i boschi di Grizzana, sull’Appennino bolognese, dove la famiglia aveva una casa estiva), palombo in umido, pâté di fegato di maiale, budino di patate, conserve, liquori fatti in casa, sapori tipici dell’Emilia e altri più esotici—tra cui un riso al curry (frutto di una permanenza ad Alessandria d’Egitto da parte delle sorelle Morandi) che tanto sorprese il critico Cesare Brandi, che invece si aspettava di trovare un classico piatto di tagliatelle al ragù.
«In casa Morandi si mangiava bene però lui dipingeva con un distacco assoluto da qualsiasi agio», precisa Carlo — lui che in tanti anni di frequentazioni della casa di via Fondazza non ebbe mai occasione di fermarsi a tavola — mentre parla della passione di Giorgio Morandi per il ciauscolo, il salame marchigiano a pasta morbida che si faceva mandare, sotto Natale, dal pittore Osvaldo Licini,  ricambiando poi con del cioccolato; dell’abitudine di farsi portare i biscotti direttamente nello studio (che era anche la sua camera da letto), al pomeriggio, mentre lavorava; dei cioccolatini Fiat, di cui era golosissimo; delle caramelle, che mangiava in grandi quantità, alternandole alle tante sigarette che pure fumava, e di cui conservava tutti gli incarti; del caffè, che si faceva mandare da Milano e che poi veniva macinato a mano, in casa, e preparato rigorosamente con la napoletana.
La famiglia, quando non c’erano gli ospiti, mangiava al grande tavolo rettangolare della cucina e ciascuno aveva il proprio posto. L’unica che, a volte, poteva cambiare, era la piccola Maria Teresa. Quando invece c’erano degli invitati, allora si pranzava in salotto, sul tavolo rotondo, su una tovaglia bianca di lino lucido e tovaglioli candidi piegati in quattro, a volte riservando un particolare servizio a un altrettanto particolare ospite.

Quanto alla leggenda del Morandi solitario che non amava viaggiare, è vera solo in parte. Che non uscisse spesso dalla sua Bologna è un dato di fatto (perché, come racconta Carlo, «aveva bisogno di dedicare tutto il tempo che aveva a disposizione al proprio lavoro») ma se non era il pittore ad andare per il mondo, era il mondo ad andare da lui — De Sica, Bacchelli, Antonioni, Cartier-Bresson, Brandi, solo per citarne alcuni, con i quali intratteneva un’intensa corrispondenza epistolare — spesso proprio ad assaggiare i piatti preparati dalle sorelle.




© 2022 Simone Sbarbati Il ritratto illustrato è di Marco Goran Romano