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Fermare le nuvole




«Basta gridare “Sipario!” e ogni cosa scomparirà come da un palcoscenico.»
(John Berger)




A volte riesco a fermare le nuvole. Me ne sono accorto per caso, quando ancora fumavo sigarette e, visto che in casa c'erano le bambine, preferivo andare a fumare sul balcone o scendere giù nel cortile.
Le mie pause sigaretta erano parentesi vuote. Stavo lì e non pensavo. Semplicemente, guardavo. La pavimentazione del cortile, la casa dirimpetto, le stelle — nelle notti limpide. Betelgeuse, per esempio. La fissavo a lungo. Per meglio dire, la trapassavo con lo sguardo, come ti insegnano a fare quando vuoi vedere le forme tridimensionali dentro ai quei pattern intricati che sono gli stereogrammi. Devi guardare al di là dell'immagine per far apparire ciò che dovrebbe apparire. E io guardavo dietro a Betelgeuse — che è un po' un paradosso dato che quel che c'è dietro a Betelgeuse è sempre coperto da Betelgeuse quindi è sia uno spazio reale che immaginario, che oltretutto non è davvero lì dove immaginiamo di vederlo perché, per via delle distanze astronomiche, la luce di Betelgeuse impiega circa 600 anni ad arrivare a noi, e dunque ciò che chiamiamo Betelgeuse non è qualcosa che *è*, qui e ora, ma che *è stato* e che adesso è altrove.
Quando cominci a misurare in anni luce, l'hic et nunc smette di avere senso: o qualcosa è qui, oppure è ora.
Ma è così pure per lo spazio che si nasconde lì dietro? Potendolo soltanto immaginare, ciò che c'è dietro a Betelgeuse non è sottoposto alle leggi della fisica, non ha fotoni, non ha particelle che devono percorrere miliardi di chilometri per arrivare fino a me e quindi è istantaneo. O, al limite, la sua velocità sarà quella del pensiero, che è forse più lenta di quella della luce ma, essendo l'intero tragitto dentro alla mia testa, un pensiero, quando lo penso, è già lì. E quindi anche lo spazio dietro a Betelgeuse è esattamente lì dove lo penso, mentre Betelgeuse no, è già da un'altra parte. Oppure, chissà, magari non è più: essendo una supergigante rossa, arrivata alla fine della sua vita di stella, potrebbe esplodere in ogni istante. Potrebbe anzi già essere esplosa seicento anni fa, portandosi via quel pezzetto di spazio lì dietro che è sia invisibile che visibile, reale e immaginario allo stesso tempo, qui e altrove, ora e nel passato, e mentre provavo a trapassare con lo sguardo Betelgeuse mi sembrava che si gonfiasse e si restringesse, si gonfiasse e si restringesse. Era solo l'effetto dell'atmosfera, lo sapevo, ma ogni volta mi incantavo. E se fosse esplosa in quel momento? Proprio mentre la guardavo? Cioè seicento anni prima o giù di lì. Avrei visto una grande luce, sarei corso a chiamare le bimbe «sveglia, sveglia, è esplosa Betelgeuse!». Le avrei tirate giù dal letto. Avrei indicato col dito.
«Là! La stavo guardando ed è esplosa».
«E adesso?», mi avrebbero chiesto loro.
«Già, adesso che si fa?», mi sarei domandato io.

È stato così, osservando Betelgeuse, che mi sono accorto della cosa delle nuvole. Mentre ero lì coi miei sguardi, una sera, apparve una nuvoletta. Era leggera leggera, come un velo, e illuminata dalla luna. Stava lentamente passando davanti alla costellazione di Orione proprio mentre i miei occhi erano puntati lì, ma quando mi fissai su Betlegeuse la nuvola si fermò.
Congelata.
«Dev'essere altissima se sembra quasi che non si muova», pensai, ma appena pensai la nuvola si mosse. Allora smisi di pensare e tornai a trapassare Betelgeuse con lo sguardo e la nuvola si fermò di nuovo. Ma non stava ferma per molto: ogni volta che distoglievo la mente dallo spazio dietro alla stella, la nuvola tornava a galleggiare nel cielo.
Bastava solo che nella mia mente si affacciasse un altro pensiero, anche minuscolo.
Tenerla ferma, realizzai, era faticoso. Imponeva la più tenace concentrazione, interamente focalizzata su una cosa e una soltanto: una cosa che non c'è ma c'è. Un nulla che può essere pensato.

Mi esercitai molto nel fissare senza pensare, e non sempre ci riuscivo. Ma non era qualcosa che si poteva fare tutte le notti, perché a volte non ci sono nuvole, altre ce ne sono troppe, e poi, a primavera, Betelgeuse va sotto all'orizzonte per ritornare solo in autunno. Quindi ho cominciato a tentare anche con altre stelle, poi sono passato alla Luna, finché sono arrivato a capire che non servono né stelle né pianeti né satelliti. Si può fare anche di giorno, basta che ci sia anche una sola nuvola, e basta attraversare con lo sguardo un punto qualsiasi, oltre la nuvola, trapassando il cielo azzurro, arrivando a ciò che c'è dietro: il nero dello spazio siderale. Lì, nel nero oltre l'azzurro, c'è il punto che fa fermare le nuvole, e la terra e il sole e tutto quanto. Bisogna afferrarlo con gli occhi e non lasciarlo andare più. Quello cercherà di scappare, tenterà di tutto. Mille miliardi di pensieri busseranno alla porta dell'attenzione per cercare di distrarti.
Più a lungo si riesce a tenerlo, quel punto, e più si sta bene. Bene come quando il tempo si ferma e non c'è niente da spiegare, niente da capire, niente da ricordare, niente, davvero, da dire.





© 2022 Simone Sbarbati Il ritratto illustrato è di Marco Goran Romano