Papà, co-fondatore e direttore di Frizzifrizzi.
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Non volevamo viverci con quelli come noi




Apro il giornale e dicono che c’è stato un casino giù dove una volta facevano le giostre, davanti al consorzio agrario, dove ora ci hanno costruito quei palazzi di finti mattoncini rossi per le giovani coppie come te e me. Un garage, la taverna, c’è pure il campetto da calcio in comune tra cinque o sei condomini, la fontanella dell’acqua.
«Là ci sono i pali per mettere la rete da pallavolo ma qua sono quasi tutti maschi. Però se avrete delle figlie…», aveva detto l’agente immobiliare. Te lo ricordi? Sembrava un ragazzino infilato a forza in un completo da due soldi. Quel colletto inamidato. I pantaloni troppo larghi che si gonfiavano e si sgonfiavano all’altezza del cavallo con quella sua camminata da capo-squadriglia degli scout.
Quando ce ne siamo andati avevi detto che ti sembrava di vedere il segno delle passate col ferro da stiro di sua madre. Di sentire l’odore dell’acqua ossigenata e del sugo a cuocere sul fornello, con lui, l’agente immobiliare che torna dall’allenamento con una tuta rossa e il nome della squadra cucito all’altezza del capezzolo sinistro. I calzini di spugna.
In borghese — proprio così avevi detto. Che lui rientrava senza la divisa da agente immobiliare, col borsone e la tutta e i calzini di spugna, mentre la madre gli stirava il colletto e i polsini della camicia. Per il figlio agente immobiliare. E poi avrebbero mangiato tutti le penne col sugo al pomodoro e piselli e salsiccia. E allora io ti ho detto che sì, mi pareva di sentirlo pure a me l’odore acido del pomodoro che cuoceva sul fornello.

Poi l’appartamento ovviamente non l’abbiamo preso. Noi non volevamo viverci con quelli come noi, con le giovani coppie, o le coppie giovani  —  che anche se piccola, una certa differenza la fa  —  te lo ricordi? Conoscere i vicini sulle scale. Un certo Matteo o Francesco o Damiano che poi incontri tutte le mattine e gli tieni il portone aperto quando entra con le buste della spesa. E ne avremmo parlato a cena, di Matteo. Io ti avrei chiesto se sapevi qual era sua moglie. Tu avresti risposto di no. Che non eri sicura se era quella rossa con i due bambini o quell’altra anonima che sta sempre al telefono. E io sarei stato zitto ma in realtà lo sapevo che era quella anonima col telefono sua moglie ma non te l’avrei detto. Poi un giorno li avremmo visti insieme. Un sabato sera. Vestiti bene, lui col sacco dell’umido in mano, la figlia  —  quanti anni aveva detto? Cinque? —  da portare dai nonni.
«Seratina romantica» avrebbe detto lui, il tono confidenziale e ironico da giovane coppia con figli piccoli, che è poi il tono di chi sottintende che è una vita che di seratine romantiche non ne fa più ed è invidioso di te che non hai figli ma si sente pure superiore perché lui ne ha. E l’ultima volta che abbiamo parlato dell’ipotesi (non di aver figli, ma che lui ci avrebbe visti così) tu non ci potevi credere che con due sole parole si potessero mandare tanti messaggi.
Ad ogni modo loro prima o poi sarebbero venuti a cena a casa nostra. Io avrei alzato un po’ il gomito. Tu mi avresti tenuto il muso il giorno dopo accusandomi di averci provato con lei, con la moglie di Matteo, perché in fondo te ne saresti accorta anche tu che senza telefono e in una situazione informale e con quel vestito addosso... Ma non te l’avrei messa così, ovviamente. Però poi la sera saremmo andati a prendere il gelato sul viale. La stradina imbrecciata per tornare a casa, quella che poi sbuca sul campetto condominiale. Un film. Una scopata. Con le finestre chiuse, nonostante il caldo, per non far sentire i vicini. La mia sigaretta. Le nostre piante appassite sul balcone.

Ma comunque quella casa lì non l’abbiamo presa. Tanto più che ho letto proprio ora del casino che c’è stato l’altra sera. Due accoltellati. Uno è scappato. C’è la bambina in coma. C’è scritto che c’era gente al momento in cui quello ha tirato fuori il coltello ed ha quasi beccato l’altro, che ha risposto pure lui con una coltellata ma ha preso in pieno la bambina che stava passando in bici nel cortile. Ed è stata presa al fianco, c’è scritto. E ora è in coma all’ospedale. Mentre quell’altro è scappato. Il primo che ha tirato fuori il coltello, mi pare di aver capito. Speriamo solo che non sia la figlia di Matteo la bambina in coma. Quanti anni? Cinque, sei?

Poi tu mi avresti preparato acqua e Varnelli. E avremmo visto un film. Un bellissimo film romantico-adolescenziale. E a metà ci saremmo dati un bacio. Però non siamo più andati ad abitare lì, ti ricordi? Noi non volevamo viverci con quelli come noi. Con le giovani coppie.





© 2022 Simone Sbarbati Il ritratto illustrato è di Marco Goran Romano