Papà, co-fondatore e direttore di Frizzifrizzi.
Scrivo, curo, talvolta insegno, in ogni caso imparo.




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Il tavolo liscio




Ne avevano parlato davanti a una bottiglia d’acqua, di quelle da mezzo litro, unico totem al centro esatto del tavolo, come un tranquillo occhio del ciclone mentre tutto attorno volavano raffiche di frustrazione. Lei avrebbe voluto che. Lui non pensava di. Lei sapeva benissimo (e non da adesso, erano giorni che ci rimuginava su, rivelò a un certo punto) ma non poteva immaginare come poi.
Soltanto quando uno dei due batteva una mano sul tavolo, in maniera così teatrale da risultare quasi insopportabile, la superficie dell’acqua nella bottiglietta si increspava a formare una specie di piccola onda che, finché non tornava allo stato di quiete, catalizzava lo sguardo di entrambi e aveva il potere di sospendere, seppur temporaneamente, le ostilità, tanto che entrambi, esausti dal dover spiegare quel che sapevano benissimo non c’era per niente bisogno di spiegare (era il senso del dovere a incastrarli, l’ossessione per la trasparenza diventava una lama a doppio taglio quando c’era da litigare), speravano ciascuno in cuor proprio che l’onda in miniatura andasse avanti per sempre, intrappolata in quei pochi grammi di PET riciclabile prodotti da qualche oscuro macchinario in uno stabilimento di Rionero Vulture (PZ) — lui aveva trovato il tempo di leggere e rileggere l’etichetta mentre lei lanciava le sue accuse: stava dal suo lato, l’etichetta intendo, e, accarezzandosi la barba come faceva sempre quando si sentiva in stallo, lui aveva provato pure ad aggrapparsi a quel toponimo capitato lì per caso per evadere da quel momento, un’evasione in solitaria dato che lei, che stava dall’altra parte dell’etichetta e l’unico appiglio che aveva erano le liquide oscillazioni prima della bonaccia in bottiglia, (difficilmente Rionero, cap 85028, avrebbe potuto materializzarsi nei suoi pensieri senza l’aiuto di un po’ di telepatia), non avrebbe mai potuto appendersi allo stesso filo di pensieri che lui stava cercando di acchiappare al volo, planando a volo d’uccello su una mappa stile Google materializzatasi d’improvviso tra un «dovevi dirmelo» e un «avrei capito» di lei, intravedendo già un’anonima zona industriale circondata da uno scenario agreste, capannoni grigi, tetti piatti, una stradina che collegava lo stabilimento alla provinciale, l’insegna FONTI DEL VULTURE S.R.L. in blu marino, i camion nel piazzale, ma poi lei aveva battuto di nuovo (per rimettere in moto lo sciabordio e regalarsi un’altra piccola tregua, ma lui non lo sapeva e d’istinto registrò le ultime parole di lei, «anche io, che ti pare?», credendo che stesse sottolineandole), riportandolo su quel tavolo troppo liscio, povero di topografie, praticamente immune dai segni e dalle asperità che una (sentiva di poterlo scrivere solo tra virgolette) ”vera“ vita di coppia lascia sugli oggetti, e gli venne in mente che forse quel tavolo liscio potesse essere una metafora perfetta del rapporto che avevano costruito, di comune accordo pur senza mai esplicitarne le regole (perché andava bene così, perché loro erano così, e forse si erano trovati anche per questo), anche se la parola giusta, pensò, forse era “arredato”, come quelle stanze intonse e perfette nelle riviste di arredamento, come se su quel loro stare assieme fosse passato uno stylist a dare gli ultimi ritocchi (queste sono le persone che dovete frequentare, ecco le serie tv di cui dovete parlare, qua c’è un rancore di troppo che va messo fuori scena, sì, lì nello sgabuzzino va bene) per poi andarsene da qualche altro cliente, lasciandoli lì, sulla ribalta di una messa in scena, con in mano un copione dettagliatissimo che non lascia via d’uscita, e una volta arrivato alla fine ricomincia daccapo, ripetendosi in un loop, ma strappando sensazionali applausi al pubblico di cartapesta che dopotutto sa fare solo quello e.
«Ci hai mai pensato? Eh? Ci hai mai pensato?», chiese lei strappandolo via dal proscenio, con le dita accarezzando la superficie del tavolo, solida e rassicurante nel suo essere quasi impeccabile, andando a cercare, con la punta dell’indice, quella riga quasi invisibile, quella riga che aveva fatto lui, col coltello del pane, quella volta che.





© 2022 Simone Sbarbati Il ritratto illustrato è di Marco Goran Romano